Il 20 agosto 1980, quando io non avevo nemmeno un anno, Reinhold Messner raggiungeva la vetta dell’Everest, solo e senza ossigeno.
Non sono un’alpinista, arrivo a percorrere sentieri di montagna fino ai 2000mt, ma a scalare no, non c’ho mai provato, ma non nego che mi piacerebbe, chiudendo semplicemente gli occhi senza fare tutta quella fatica, essere lassù, seduta su una cima a quelle latitudini e vedere piccolissimo tutto il mondo sottostante.
Messner ripercorre i mesi prima della sua ascesa, tralasciando tutti i particolari più tecnici raccontando piuttosto cosa lo ha ispirato, lo studio che fa di coloro che lo hanno preceduto, delle spedizioni precedenti, dei successi e dei fallimenti, di chi è morto nel tentativo di acciuffare la cima dell’Everest, di chi ha tentato di scalarla e di chi ha cercato di sorvolarlo con mezzi rudimentali, spinto solo dalla bramosia e da un pizzico di fanatismo.
Penso a tutti quei turisti che pensano di salire in un weekend sull’Himalaya, sul Tibet, come se andassero a Portofino, con viaggi organizzati, bastoni per i selfie e schiscettine, per una foto ricordo, per dire L’ho fatto!, senza studiarlo, senza desiderarlo veramente.
È innegabile come ormai il turismo abbia cambiato il destino di queste regioni, e che montagne un tempo inaccessibili, irraggiungibili, naturale riparo degli stati himalayani contro gli invasori, siano ormai una delle top destination di migliaia di alpinisti e trekkers. Il Nepal, dopotutto, trova nel turismo il principale veicolo di valuta estera; forse il prezzo da pagare per questo nuovo destino economico.
Ad ogni modo, il racconto di Messner è quello di chi quelle regioni le ha vissute più volte, per molto tempo. Racconta le città, le genti, le abitudini, l’attesa, la preparazione, i monasteri, l’organizzazione anche burocratica, le tante ricognizioni, le attrezzature, l’equipaggiamento, lo studio dei venti, del sole, delle burrasche.
E poi finalmente la neve, la salita, la nuova via sul colle nord. Solo neve e nebbia, ghiaccio e freddo. Solitudine, silenzio e forza interiore.
Come lui stesso afferma, <<il ricordo della mia ascensione non è l’euforia, ma la sensazione di piccolezza di fronte all’immensità della natura>>.
Ha amato quelle terre, come avevo già percepito visitando Castel Juval in alto Adige, una delle sue residenze. Non ci sono solo i trofei o i primati, c’è rispetto e passione per la montagna e per quei popoli, per la loro storia, per il significato di quelle montagne.
<<Perché viene in Himalaya?>> domanda.
<<Forse solo perché l’Himalaya esiste>>.
È un classico per chi ama la montagna, ma non è necessario essere scalatori per leggerlo perché è un racconto di come ha vissuto quell’esperienza, ma soprattutto è una finestra su un’impresa che ha cambiato la storia dell’alpinismo moderno.
L’ho letto in due giorni.
Compratelo, regalatelo.
Solo quando questo flusso di paure si esaurisce posso partire. Naturalmente è facile proporsi di dominare queste paure e non lasciarsi dominare da esse. Ma è cosi difficile staccare, spegnere tutti i pensieri! Lasciarsi andare e nello stesso tempo essere ponti al balzo come gatti, questo è il segreto.
Reinhold Messner
EVEREST SOLO
Orizzonti di ghiaccio.
Edizioni TEA