Stesso sentiero, magia nuova.

Ci risiamo!  la voglia di montagna si è fatta sentire di nuovo. Più che di montagna in sé direi di alberi, di natura, di silenzio.

E soprattutto avevo voglia di ripercorrere un sentiero a me molto caro, il n.931 che partendo dal Rifugio  Pino Loricato  porta alla Serra di Crispo, il Giardino degli Dei  dove vivono i ‘patriarchi viventi’.

Ripercorrere lo stesso sentiero di montagna è come tornare a leggere un libro che ami: sai cosa aspettarti, eppure ogni volta noti un dettaglio nuovo. La familiarità del percorso, le curve che conosci a memoria e le rocce su cui hai già messo gli scarponi, ti danno una sensazione di sicurezza e pace. Non devi preoccuparti di perderti o di affrontare l’ignoto, il che ti permette di liberare la mente, di sentirti a casa.

È proprio in questa liberazione che sta la magia. Con la mente sgombra, i sensi si acuiscono e inizi a notare le piccole, meravigliose differenze che la natura offre a ogni visita. La luce che filtra tra gli alberi è sempre diversa: un giorno è dorata e tiepida, un altro è argentea e sottile. Le ombre si allungano o si accorciano, cambiando completamente la prospettiva del paesaggio.

Una settimana non è come l’altra, un mese non è come l’altro. Il sentiero in sé muta con le stagioni. In primavera, la terra è morbida e umida, profuma di muschio e nuove fioriture. In estate, il sentiero è battuto, la polvere si solleva a ogni passo e l’aria vibra per il ronzio degli insetti. L’autunno lo tinge di rosso, giallo e arancione, e il rumore delle foglie secche sotto i piedi diventa una melodia. E l’inverno lo ricopre di una coltre di neve silenziosa, che trasforma il paesaggio in un quadro incantato.

Anche gli incontri cambiano: una volta potresti vedere un capriolo timido, un’altra un falco che plana maestoso. Potresti sentire il canto di un uccello che non avevi mai notato prima o scoprire un fungo nascosto sotto un tronco.

Ogni volta che torni su quel sentiero, non stai solo ripercorrendo un percorso fisico, ma stai anche riscoprendo te stesso in un contesto che, pur essendo familiare, ti offre sempre qualcosa di inaspettato. È una lezione di vita: la vera bellezza non è nell’esplorare sempre qualcosa di nuovo, ma nel trovare il nuovo in ciò che già conosci.

Nella prima parte del percorsosi cammina immersi in una fitta e antica faggeta. Capita di partire con tanti altri escursionisti, ma poi dopo pochi passi, ognuno segue il proprio ritmo, ognuno per il proprio viaggio interiore.

Quasi a metà si incontra la fonte Pitt’accurc’, un punto di ristoro che in ogni visita ti accoglie con la sua acqua fresca. Fermarsi qui non è solo un atto pratico, ma un piccolo rito che segna la transizione tra la prima parte del percorso, più boscosa, e la salita successiva.

Uscendo dalla faggeta, il sentiero si apre su balze erbose dove iniziano a comparire i primi pini loricati. Ma è sulla cresta finale, che porta alla vetta, che si trovano gli esemplari più maestosi, alcuni dei quali hanno centinaia di anni. Ogni volta che torno, ammiro come la luce del sole giochi con la loro corteccia “corazzata” e come i venti abbiano plasmato le loro forme in sculture uniche e irripetibili.

I pini loricati non sono semplici alberi, ma delle vere e proprie sentinelle del tempo, custodi silenziosi dei crinali più alti del Pollino. La loro magia non si trova in un’unica caratteristica, ma in un insieme di elementi che li rende unici e affascinanti. Il loro nome, “loricati”, deriva dalla parola latina lorica, che significa corazza. Ed è proprio la loro corteccia che ti colpisce per prima: spessa, stratificata, con placche poligonali che si incastrano perfettamente, quasi come una vera armatura medievale. Questa non è una semplice protezione, ma la testimonianza visibile di una vita intera trascorsa a combattere il vento gelido, la neve e il sole cocente.

Ogni crepa, ogni solco sulla loro corteccia racconta una storia di resistenza e resilienza.

La loro bellezza sta nella loro imperfezione. A differenza degli alberi che crescono dritti e uniformi, i pini loricati sono un inno all’adattamento. I loro tronchi e i rami si contorcono in forme improbabili, modellati dalle intemperie, assumendo l’aspetto di sculture naturali. Sembrano danzare, o arrampicarsi in una lotta eterna con il cielo. Ognuno di loro è un’opera d’arte unica, mai uguale a un’altra, plasmata dalle forze della natura.

Camminare tra loro è come fare un passo indietro nella storia. Molti di questi giganti hanno superato i 500 anni e alcuni esemplari raggiungono e superano i 1000. Ti trovi di fronte a esseri viventi che hanno visto secoli di storia scorrere sotto i loro rami.

Sono testimoni di un mondo che cambia, ma che in loro trova un punto fermo, un legame con un passato lontano.

Stendiamo un telo per terra e ci regaliamo una piccola pausa all’ombra di un pino.

Sono qui sulla vetta di Serra di Crispo (2053 m) e davanti a me un panorama a 360° che non è mai lo stesso. Un giorno potresti essere avvolto da una nebbia fitta e suggestiva, un altro il cielo è terso e puoi ammirare la Valle del Frido, i Piani del Pollino e persino, in lontananza, il Mar Ionio.

 Le nuvole danzano, i colori del tramonto si fondono, e ogni volta la vista ti regala una prospettiva diversa.

Sazi da così tanta bellezza, iniziamo a scendere a valle. Il paese di San Severino Lucano è in festa: dopo aver trascorso l’estate nel santuario, a quasi 1600 metri di altitudine, la statua della Madonna del Pollino viene riportata a valle per trascorrere l’inverno. È un rito solenne e molto partecipato. La discesa, al pari della salita, è accompagnata da canti e preghiere, segnando un nuovo passaggio nel ciclo annuale di devozione.

Il Parco del Pollino è questa sintesi perfetta tra un’esperienza che nutre lo spirito, sfida il corpo e arricchisce la mente, offrendo un’immersione totale in un angolo d’Italia dove la natura è ancora la vera sovrana.

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