Giro free style tra i borghi della Riforma Fondiaria nelle campagne di Lecce

Giro free style che faccio sempre anche quando non ho tantissimo tempo. Tra l’altro sfrutto la ciclabile che passa proprio davanti la mia casa. Un anello di poco più di 30 km, dove la direzione è quella del mare adriatico, vicino Lecce.

   Per arrivare al borgo di Frigole la strada è asfaltata anche se poco trafficata, anzi, devo dire che se ci sono presenze umane sono quasi totalmente persone che corrono o vanno in bici. Una piccola fermata intermedia la dedico sempre al “Pagliarone”. Per chi vive a Lecce è un po’ come uno di famiglia; questa costruzione tipica del Salento resta immutata nel tempo. È possibile anche salire su (sfidando un po’ di vertigini lungo le scalette a chiocciola esterne) per avere una vista su tutta la macchia mediterranea circostante fatta di mirto, corbezzolo, lentisco e querce, intravedendo dei piccoli sentieri che si snodano tra gli arbusti. Si riesce anche ad avvistare in lontananza il mare. Le pagghiare, per chi non è del posto, sono delle piccole costruzioni, fatte per lo più come se fossero dei trulli, quindi con le sole pietre che si trovavano sul posto e senza cemento, e almeno inizialmente i contadini le utilizzavano come deposito per i loro attrezzi e per schiacciare un pisolino nei caldi pomeriggi estivi. Ritorniamo sul nostro percorso e coi dirigiamo verso il borgo di Frigole per fare colazione.

   Nell’etimologia latina del nome si fa riferimento all’origine quasi improduttiva della terra, ovvero troppo fredda e arida a causa del forte maestrale che imperversa. Frigole, quindi, significa frigus, terra fredda. Questo piccolo agglomerato di case fu costruito negli anni ‘30 per agevolare il reinserimento dei reduci della Prima Guerra Mondiale nella vita sociale ed economica del paese e presenta uno stampo architettonico razionalista; nato durante gli anni della Riforma fondiaria, prevedeva una chiesa, un ufficio postale e servizi minimi per tutti gli assegnatari delle case coloniche e degli appezzamenti di terra appena bonificati.  Questa zona tuttavia fu oggetto di bonifiche avvenute in più momenti precedenti. Prima di tutto fu Federico Libertini, nobile leccese, che nella seconda metà dell’800 investì tutti i sui capitali nella bonifica di queste terre, intuendone le potenzialità ai fini agricoli, costruendo i primi canali per far defluire le acque in eccesso rendendo così il terreno meno paludoso e più fertile. Il suo tentativo finì però con la sua morte (noi leccesi però lo ricordiamo perché una delle principali vie del centro storico, che va da Porta Rudiae alla centrale piazza Sant’Oronzo, porta proprio il suo nome).  Fu soltanto durante gli anni del Fascismo, quindi, che i lavori di bonifica ripresero, con la creazione di ulteriori canali, di un bacino artificiale e la costruzione dell’idrovora, che regolava il flusso dell’acqua nei canali.

Masseria Gianmatteo

Masseria Gianmatteo

 Pedaliamo un po’ verso le spiagge di Frigole per affacciarci sul piccolo porticciolo di pescatori.  Costeggiando poi il mare in direzione nord si arriva al Bacino dell’Acquatina, bacino costiero artificiale realizzato sempre durante le opere di bonifica della zona. Questo bacino in realtà esisteva già all’epoca dei normanni ed era conosciuto con il nome di Guadina, facendo riferimento all’aspetto di un guado, poiché era sempre inondata dalle mareggiate. Qui, per i romantici del mare, vi è una spiaggia, soprannominata “la spiaggia rosa”, per via del colore della sabbia.

   Dal bacino dell’Acquatina rientriamo verso l’entroterra, percorrendo lunghi rettilinei che delimitavano gli appezzamenti terreni dei coloni, fino a raggiungere l’antica Masseria Gianmatteo, cuore pulsante della vita sociale ed economica negli anni della Riforma, avendo anche un frantoio oleario a disposizione degli agricoltori e un forno per le massaie. Imprescindibile meta di pellegrinaggio in questa zona, soprattutto nei giorni festivi, è qui il forno della masseria. Per i più piccoli è una fermata meravigliosa perché subito dietro il forno si trovano animali che vanno dalla più comune gallina, all’asino, al pavone, oltre che asini, vitelli e maiali. Ma soprattutto qui si possono trovare frutta e verdura di stagione appena raccolte, i pizzi caldi, i taralli, le nostre pittule, i biscotti di un tempo, le frise, e ovviamente, il pane appena sfornato. Senza esagerare, credo che questo forno, a Lecce, sia famoso almeno quanto sant’Oronzo.

 

   Lasciando la masseria attraversiamo, su un tratto di sterrato, il boschetto della Cervalora, fitta lecceta di quasi 20 ettari, residuo anch’esso di quello che un tempo era la foresta di Lecce e che a partire dal ’700 fu abbattuta per favorire la coltivazione dell’ulivo. All’interno del piccolo bosco vi sono anche dei sentieri bellissimi per delle camminate immerse tra le piccole querce. Incontriamo subito dopo Borgo Piave, costruito, come Frigole, per agevolare il reinserimento dei reduci nella vita sociale ed economica del paese, e che nel suo nome ci ricorda l’eroica epopea del fiume Piave. Rientriamo a Lecce dalla stessa via ciclabile verso il centro città.

   Perché mi piace fare sempre questo anello, anche se ormai posso dire di conoscerlo come le mie tasche? È vicino, bello, si attraversa la macchia mediterranea, la storia – cosa che a me piace molto-,  le architetture del territorio, perché vedo i contadini lavorare la terra, vedo anche il mare – quello non blasonato o patinato, ma quello dei pescatori-, e soprattutto, faccio incetta di prodotti da forno. Ecco l’ho detto!

 

lascio come al solito la traccia qui  per chi volesse replicare il mio giro https://www.komoot.com/it-it/tour/1447132063?share_token=aDo1gljdUUTRmR9qL1nXy7WhJr9RVf5AMPXrCWgJ71np133Zr5&ref=wtd

 

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